UNO SCRITTORE BELGA A ROMA

Hugo Claus ha scoperto un' onsteria sul Tevere

di G.A. CIBOTTO

Con un fisico da giocatore di rugby, come direbbe Pratolini, valido sia per la linea del trequarti che per coprire il ruolo di pilone di mischia cioè massiccio ed agile nello stesso tempo, sul quale è piantata una testa da ragazzone bonnario, dove pero a tratti si vede balenare improvviso il lampp della follia nordica (cioé della inquietudine) e con una biografia da fare invidia a tutti i giovani scrittori nostrani. Hugo Claus dopo due soli incontri è divento un vecchio amico. Sara che a fare da intermediari a favorire il dialogo, sono successivamente intervenutti il gusto infallibile di Attillio Bertolucci, l'attenzione critica di Luigi Malerba, la dolcezza della giovanne pittrice Avati e la amabilità ospitale del commediografo Jean Blondel, in quella sua magica casa di Piazza del Grillo dove a notte la luna crea arabeschi e ricami d'ombra, e il giorno le ore passano inavvertite, segnate appena di quando in quando dall'irrompere delle voci che salgono dalla strada, quasi da un altro mondo. Certo che senza la minima difficoltà ho potuto subito afferrare il cordiale entusiasmo che lo anima verso la nostra cultura, il nostro cinema, la nostra letteratura, e sopratutto capire la spinta autentica, che lo sorregge nel suo lavoro, la fiducia che nutre negli uomini e nelle cose. Direi che ogni sua parola, ogni sua frase ingenua curiosità, d'una autenticità d'una decisa vitalità, per cui alla fin fine anche la sua diffidenza ed il suo imbarazzo di fronte ai trabocchetti d'una intervisita, alle sorpese provovate dalle varie domande, vengono sopraffatte, ed il suo discorrere da impacciatio diviene fluido si da ridurre l'intervisatore nei panni dell'intervisitato. Cosa questa che facendogliela notare, mi ha regalato uno dei suoi sorrisi più belli, largo, fanciullesco, al quale si è subito unita una larga scrollata di spalle. Per un instante mi é venuto da pensare alle scrollate dei tommy americani dopo la liberazione, quando con questo movimento accompagnavano e commentavano situazioni d'ogni genere, dalla tristi alle liete, carichi di entusiasmo e di otimismo. Del resto a sentirgli raccontare la sua vita. Claus rievoca alla perfezione la figura dello scrittore americano. Almeno come ce lo fa immaginare una aneddotica ormai codificata che parle dai ponti di New York e dalle strade congestionale di Manhattan, e finesce con la vendita del romanzo ad una casa produttrice (come presto capiterà probalimente al suo "Giorni della canicola" tradotto recentemente con successo negil Stati Uniti)

"Sono nato a Bruges - mi ha detto Hugo Claus - e scappato di casa a quattordici ani, nascoto in uno di quei vagoni ferroviari che passavani vicini a casa mia, lenti come mucche. Trovai lavoro presso Stettino, dove dimenticai quel poco che avevo imparato durante gli anni di scuola, e venni adibito alla raccolta del grano. Ritornai in patria pero dopo poco, e cominciai a fare l'imbianchino in quel di Gand. Ma non guadagnavo molto, e allora alla prima richiesta francese di operai per gli zuccherifici del Nord mi unii ad un gruppo di emigratti che conoscevo. Senonchè una volta arrivati la vita fu molto più dura del previsto, e per il numero imponente di alcoolizzati che si muovevano intorino alle distillerie, e per la mancanza di respetto ai contratti dei francesi. Insomma fu una esperienza assai penosa ed amara, che conclusi passando a fare la guardia notturna a Gand. Di qui mi sono trasferito a Ostenda in un tipografia, dove il mio incarico era di ricevere ed accompagnare in visita allo stabilimento i clienti. E vicino alla linotype si puo dire sia maturata la mia vocazione, dato che e Ostenda cominciai a scrivere le mie prime cose".

A questo punto, e con mio grande stupore, invece d'opere narrative, sentii uscire dalla sua bocca nomi di pittori e titoli di raccolte poetiche, per cui me è venuto spontaneo do chiedergli notitzie su un po' tutta la sua attività, e antica e recente.

"Il mio primo libro si intitolava "Piccola serie", che usci quasi inosservato - riprese - e lo segul a distanza di dodici mesi un secondo, intitolato "Registrare". La mia attività maggiore e più impegnativa era pero la critica d'arte, ed anche la pittura, dato che in quest'arte credevo di avere delle possibilità. A dissuadermi fu un editore che volendo lanciare una collanda di libri gialli (allora da noi richiestissimi) mi propose di scrivergli un giallo ambientato in Fiandra. Lo buttai ggiù quasi senza convinzione in un mese. Invece una volta lettolo si entusiasmo e lo invio al premio quandrienale "Kryen", una specie di Concourt belga, che con mia granda sorpresa vinsi. Transcinato dall'entusiasmo scrissie una specie di pantomima intitolata "Senza forma di processo" alla quale seguirono altri due nuove commedie "Capricci" e "La sposa nell'alba" che presto dovrebbe andare in scena a Bruxelles. Nel frattempo ho trovato il modo di scappare a Parigi, dove noi belgi siamo attratti da un richiamo oserei dire naturale."

Alla mia domanda pero sulla situazione culturale parigina, sulle sue nuove esperienze e gli eventuali apporti che ha registrato a proposito del suo lavoro. Claus ha rispoto con una nuova scrollata di spalle, sicchè mi è toccato levargli do bocca (alla lettera) qualche ragguaglio più preciso.

"Non le saprei dire niente sulla situazione culturale parigia, sulla sua ripresa o decadenza, perchè non frequento gli ambienti letterari. Io amo la genta della strada e vorrei vivere a Parigi - dove sono rimasto tre anni - perchè ci si sente a contatto con la vita. Quanto agli influssi le diro che ho sentito molto i surrealisti ed in particolare Crevel, e che ho partecipato al movimento sperimentale "Cobra". Altri nomi di autori che mi sono piaciuti e che hi hanno insegnato qualcosa sono Queneau e Valery Larbaud, ma io credo di eesermi formato e maturo restando legato sopratutto alla mia terra. Le sembrera un particolnre forse banale, ma per scrivere io devo tornare ai miei paesi. « Giorni della canicola » ad esempio, mi ha fatto ritornare in Fiandra, ad Osten, in mezzo alla mia gente, e solo cosi sono riuscito a finirio. In fondo se un pregio ci hanno trovato i critici, e se consensi sta ottenendo un po'dovunque (stanno uscendo in questi giorni le traduzioni francese, olandese, americana, es to tratando anche per quella italiana) credo sia proprio per questa aderenza alia realtà culturale ed umana della mia terra. Ma oltre a queste notizie anche altre cose ha trovato modo di confessarmi Hugo Claus durante i nostri due brevi incontri. E cloè che mentre Roma gli sembrava dapprima una città sonnolenta, morta, adesso gli sta placendo sempre piu, e quasi quasi vorrebbe prendere un appartamento, se non fosse certo che la sua inguaribile malattia, il nomadismo, lo scaraventerebbe sicuramente altrove non appena messe le radici. Che in Belgio fa il redattore di una rivista letteraria intitolata "La nuova rivista fiamminga" e che assieme ad alcuni amici ne ha fondato una di costume intitolata «Gli uomini e il tempo ». Che attualmente ha in preparazione un volume di racconti ed un nuovo romanzo intitolato «Imperatore nero» intorno ai quali sperava di lavorare a Roma, dove pero è impossible rimanere al tavolino per la festa di luce e di sole e di azzurro che esplode nelle strade. Specie nei quartieri più vecchi. Che il suo sogno è di ritornare prima o poi a Parigi, dove compatibilmente con i suoi estri vorrebbe formarsi se non una casa vera e propria almeno un punto di riferimento. Ed altre ancora che non ricordo. Perchè un sacco di cose m'ha detto tra un whisky e l'altro il mio buon amico Claus, nel corso dei nostri due incontri a Palazzo del Grillo in compagnia di Blondel, Bertolucci, Luciana Avati e Luigi Malerba. Anche d'una osteria che si trova sul Tevere nei pressi di Porta Portese, dove si puo mangiare sospesi sull'acqua, nel vento delle voci che arrivano a folate dalla strada.

G.A. CIBOTTO